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Visioni e miraggi nella pittura di Faraci

di Riccardo Ferrucci

La pittura e l’arte contemporanea sono un mondo aperto ad esperienze e sollecitazioni diverse, ogni autore cerca un proprio modo per raffigurare e rapportarsi con la realtà e la vita. L’arte diventa sempre di più un’esperienza che coinvolge più linguaggi artistici, che cerca un modo diverso per comunicare sentimenti ed emozioni. Massimo Faraci non sfugge a questo regola e la sua attività artistica che si sviluppa, con rara coerenza, a partire dai primi anni novanta non ha mai smesso di ricercare stili e forme poetiche nuove che riescano a produrre inedite modalità comunicative e originali lavori artistici.
Le sue opere sono modi poetici per raccontare il presente in forma attuale, portando dentro la sua ricerca il senso del tempo e della storia dell’arte. E’ un’arte che cerca un sentimento nuovo, una sorta di rifondazione continua e ripensamento di strumenti e linguaggi che si aprono ad una conoscenza profonda e poetica del reale. Il viaggio di Massimo Faraci è tutto vissuto sotto il segno della leggerezza, quella indicata da Italo Calvino nelle sue Lezioni americane: “ La mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio.” Nelle sue tele o nelle opere su carta riaffiora questo senso di leggerezza e di fragilità della visione, di provvisorietà, di un sogno ad occhi aperti in grado di illuminare i sentimenti e le segrete passioni dell’uomo.
L’arte di Faraci ha la dimensione evocativa della musica, i tempi ed i ritmi sospesi di un canto o di un suono che nasce e muore dalle cose, continuamente modificando gesti ed esiti formali. E’ una dimensione narrativa circolare quella che propone l’artista nel suo cammino attraverso cicli di opere che si ripetono, inseguendosi e richiamandosi attraverso sottili e significative variazioni segniche; quasi ad evocare una dimensione enigmatica dell’arte : tutto si riproduce e si ripete, ma tutto cambia e muta ogni volta. E’ nella libertà del segno, nell’evocazione di un sentimento, attraverso i giochi e le accensioni cromatiche, in giallo e nero, che ritroviamo la volontà di incontrare un amore, un gesto che illumini il nostro vivere quotidiano, con le forti vibrazioni che rimandano ai colori caldi delle terre siciliane d’origine. Faraci dirige la sua ricerca verso una pittura informale e di raffinata riflessione, collocandosi nelle esperienze più mature dell’arte contemporanea attraverso una visione mediata che non si limita a descrive il reale, ma cerca di reiventare spazi e luoghi, raffigurando sogni ed emozioni interiori.
Faraci è un eterno viaggiatore che varca i confini del linguaggio per dare voce al silenzio, a ciò che non ha ancora parola, per trovare un senso ed un’armonia nel caos contemporaneo, varcando di continuo le porte ed i limiti del sapere e della conoscenza: è l’altrove ed il mistero lontano, racchiuso nei recenti lavori Senza Titolo, che muove le sue creazioni e che spinge l’artista ad interrogarsi sul futuro e su quello che potrà accadere domani, con lo stupore meraviglioso di un bambino che scopre ogni volta, giorno dopo giorno, la vita e l’amore, come se tutto si potesse reinventare ogni volta.
L’arte diventa per Massimo Faraci una sorta di viaggio interiore, alla ricerca del tempo perduto, scoperta di sogni e luoghi dimenticati, come se attraverso la pittura si potesse incontrare la vita, i sentimenti, le passioni che animano l’uomo contemporaneo. L’opera d’arte è come una porta aperta verso una dimensione ludica e onirica, l’inizio di una viaggio segreto nelle pulsioni vitali e creative. Suggeriva Enrico Baj : “Giocando affiora in noi la nostra infanzia e oggigiorno vi è proprio il gran problema di come restituire all’uomo affranto dalle nevrosi la sua felicità, la sua grazia e serenità infantile.” E’ una dimensione infantile e ludica quella che cerca nei suoi dipinti Faraci che sembra ritrovare lo sguardo puro e incontaminato di un bambino, ancora capace di stupore e gioia di fronte allo spettacolo infinito del mondo e delle sue stagioni. La leggerezza e la spontaneità di un disegno infantile affiorano nei suoi dipinti, tutto diventa un gioco ludico che rimanda ad una visione più complessa e profonda, articolata in forme e visioni inedite, ricche di struggente partecipazione emotiva.
Faraci è un viaggiatore visionario che annota, nel suo diario privato, sentimenti e passioni, incontri ed emozioni vissuti nel suo passaggio terrestre, nella sua ricerca di verità e ragione poetica. Ritroviamo la modernità stilistica di Faraci proprio nello stile frammentario ed episodico, nel racconto continuamente interrotto, nel canto che sprofonda verso il silenzio; Faraci è un autore giovane, ma già capace di cogliere con assoluta profondità i disagi e le lacerazioni del nostro tempo, di dare vita ad una personale rilettura del mondo e della natura. Le vele le porte, i segni si aprono al sogno, ma il racconto è sempre sul punto di interrompersi, di sprofondare nel buio della notte, di evocare un mistero pieno di ombre e di inquietanti silenzi.

28 aprile 2006

La Forma del Progresso,
i dipinti di Massimo Faraci

di Pietro Boccuzzi

Strutture in costruzione, particolari in progress, prorompenti forme che si stagliano con forza e virilità; insiemi geometricamente ordinati che sfidano, anche se apparentemente incompleti, l‘infinito, lo spazio a disposizione sulla superficie della tela; erette, si innalzano come monumenti post-moderni arcaici, come totem di una nuova civiltà costituita: così si presentano le forme dipinte da Massimo Faraci. Sagome che assumono le sembianze di palazzi, caseggiati, ponti, grattaceli, imbarcazioni, palchi, barche a vela, motoscafi, strade, impalcature, ponteggi, finestre,scale, strutture portuali e industriali: elementi di un territorio urbano che muta e si trasforma, che adotta nuove soluzioni. Queste parti determinano una differente progettazione dello spazio urbano, uno spazio che recupera la concezione di polis greca e la amplifica con quella idea di progresso tanto cara alla generazione attuale.
Nascono novelle soluzioni architettoniche, nuove forme di pensiero che vengono discusse pubblicamente e messe alla prova in un enorme spazio da ridisegnare, su di una grande mappa dove ogni elemento è disposto democraticamente, basato su di uno studio scientifico dell‘equilibrio che rispecchia la volontà delle forze decisionali. Il dialogo che ne scaturisce, il confronto nobile e a volte duro, genera energia, energia di cui tutti gli ideali abitanti si appropriano per vincere la pigrizia e l ‘inattività: i cantieri diventano città e poi si trasformano in metropoli, in spazi urbani dove la vita scorre e adempie alle proprie necessità.
Su queste tele sono rappresentati organismi, come cantieri aperti, adatti a percepire le differenze e a valorizzare lo sforzo comune, collettivo. Faraci coglie sulla tela il momento in cui si sviluppano e prendono forma i pensieri, il loro progressivo trasformarsi in teoria e poi in principi.
Sembrerebbe di assistere alla realizzazione di una nuova Città del Sole, con un nuovo ordine, con regole e leggi nuove a cui ogni essere umano sottostà volontariamente e coscientemente: su tutti domina il progresso, la parte più valida e accettata della ragione. Gli schieramenti sono rappresentati da due colori in perenne lotta dialettica: il blu e il giallo che alternativamente impongono la propria presenza; il risultato che ne scaturisce della discussione è rappresentato dalla costruzione che quasi sempre è posizionata tra le due parti. Man mano certe instabilità vengono eliminate, trasferite, discusse o semplicemente smontate e riposte per lasciar spazio ad un pensiero che tende ad rimuovere il superfluo e a presentarsi come forma compiuta; la struttura si offre agli occhi dello spettatore più solida, propositiva e positiva. Lo spazio pittorico diventa come l ‘isola di Taprobana in cui Tommaso Campanella colloca la sua città ideale, uno spazio pittorico che introduce anche una discussione sull ‘arte e sul suo percorso.
E subito paiono evidenti gli sforzi dell ‘artista catanese di trovare una sorta di indipendenza da alcuni dei suoi punti di riferimento che sembrano basarsi maggiormente sulla struttura compiuta sironiana e sull‘indagine analitiche delle tramature di Emilio Scanavino: forma e sostanza; l ‘austerità classica delle città e dei siti industriali di Sironi e la ricerca interiore di Scanavino che esplora e mette a nudo il pensiero fino a ferire e a tagliare in profondità per conoscere la chimica che sviluppa le emozioni.
Per l ‘artista la forma compiuta è quella che erompe dal dialogo, dalla sottrazione del superfluo, dalla accettazione della alterità al completo rispetto di essa: il risultato è sotto gli occhi di tutti, occupa la parte centrale del quadro e si presenta nudo, spoglio, quasi ad imitare tanta scultura classica, pronto a sua volta a essere esaminato, discusso e se necessario a essere sottoposto a cambiamenti.
La nascente metropoli rappresenta la complessità dell‘uomo contemporaneo; quella complessità che lo rende vivo e emancipato entro determinati schemi (i limiti che si impone) che metaforicamente danno senso alla libertà, a quella libertà tanto sospirata e perennemente ricercata, mai raggiunta e che rappresenta il punto massimo da conquistare.

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